Francesca Romana Orlando, giornalista e scrittrice, intervista per AMICA il Prof. Livio Giuliani, uno dei massimi esperti mondiali di radioprotezione, autore di numerose pubblicazioni scientifiche che è stato dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza dei Luoghi di Lavoro (poi assorbito dall’INAIL). Nel 2002 ha fondato la Commissione Internazionale per la Sicurezza Elettromagnetica (ICEMS) che ha diramato diverse raccomandazioni internazionali per avvisare la comunità scientifica delle evidenze emergenti dei rischi per la salute connessi ai campi elettromagnetici, anche per esposizioni inferiori agli standard considerati sicuri dalle agenzie di salute pubblica come l’OMS.
AMICA: Prof. Giuliani, lei fatto parte anche della commissione congiunta ISPESL-ISS e, in particolare, è stato autore dell’Addenundum che recava i limiti di legge per la radiofrequenza, poi adottati dal D.P.C.M. dell’8 luglio 2003. Perché la legge prevede tre limiti diversi?
Quella commissione decise di adottare tre limiti per garantire una maggiore protezione nei luoghi dove si permane più a lungo, come le abitazioni e gli uffici.
I tre limiti sono:
- Limite massimo da non superare mai di 20 V/m;
- Valore di attenzione di 6 V/m per i luoghi dove si permane per più di 4 ore;
- Obiettivo di qualità da raggiungere nel tempo al fine di garantire una sempre maggiore tutela della popolazione e dei soggetti vulnerabili.
Purtroppo questa distinzione è stata di fatto annullata dal D.P.C.M. dell’8/7/2003 che equiparò l’obiettivo di qualità al valore di attenzione di 6 V/m, giudicando quest’ultimo sufficiente a garantire la protezione di tutta la popolazione.
AMICA: Il D.P.C.M. dell’8/7/2003 prevedeva questi limiti da misurare nella media di 6 minuti. Perché venne scelto quell’intervallo di tempo?
Sei minuti è il tempo biologico necessario alle cellule per dissipare il calore prodotto dal campo elettromagnetico ed è un valore stabilito dal Regolamento n.381 del 11 settembre 1998 recante i tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana, ai sensi della legge n. 249 del 31 luglio 1997, art. 6 comma 1 lett. A n. 15.
Il Decreto Sviluppo del Governo Monti ha imposto, invece, la misurazione sulla media di 24 ore, che è un parametro arbitrario e slegato da valutazioni biologiche e sanitarie.
AMICA: Si parla spesso della necessità di aumentare i limiti di legge per favorire lo sviluppo delle reti di telecomunicazione 5G. Le risulta che il 5G non possa funzionare con i limiti di legge attuali?
Nel 2002, quando lavoravo all’ISPESL di Venezia, ho avuto la possibilità di constatare che la telefonia mobile di allora (2G) funzionava perfettamente con 0,2 V/m, ma quell’esperienza non è mai stata valorizzata dalle istituzioni per incrementare livelli di protezione maggiore per la popolazione.
Per quanto riguarda le reti 5G, bisogna osservare che funzionano in modo diverso dalle generazioni precedenti della telefonia mobile perché usano radiazioni elettromagnetiche fortemente polarizzate. Attraverso un corretto posizionamento delle antenne è possibile garantire il funzionamento, ma la questione vera è che con il 5G gli attuali standard internazionali di sicurezza non sono sufficienti a tutelare la salute pubblica. Lo afferma il Prof. James Lin sulla rivista più prestigiosa dell’organizzazione mondiale degli ingegneri, “IEEE Microwave Magazine”. Il Prof. Lin conclude che le linee guida ICNIRP non proteggono dalle radiazioni della tecnologia 5G.
Non esiste, quindi, alcuna ragione per allentare i livelli di protezione che abbiamo in Italia e che dovrebbero essere ulteriormente ridotti, come previsto dalla Risoluzione 1815 del 2011 del Consiglio d’Europa che fu approvata all’unanimità. Quella risoluzione, infatti, prevedeva di adottare “immediatamente” lo standard di sicurezza di 0,6 V/m e di adottare come limite di qualità 0,2 V/m, che è la soglia sotto la quale si osservano effetti biologici poco significativi.
AMICA: Perché allora l’industria insiste che bisogna aumentare i limiti di legge?
La risposta è molto semplice: per guadagnare 1,3 miliardi di Euro. Si è stimato, infatti, che questo sarebbe il guadagno per ciascun gestore con l’innalzamento dei limiti di legge. L’industria, infatti, ambirebbe a utilizzare i siti attuali per installare più antenne e antenne più potenti, evitando di fare una pianificazione corretta che comporterebbe l’affitto di nuovi siti, ma che è anche l’unica strategia per salvaguardere la salute pubblica.
Voglio ricordare che i licenziatari dei servizi di telefonia mobile in Italia sono tutti stranieri: TIM è ispano-francese, Vodafone è inglese, Wind 3G è di Hong Kong, Iliad è francese e Fastweb è svizzera.
Il guadagno di 1,3 miliardi di Euro che l’innalzamento dei limiti comporterebbe per ogni gestore andrebbe piuttosto investito dal Governo per obbligare i gestori ad ammodernare la rete per rispettare il limite di 6 V/m. In questo caso il denaro andrebbe alla piccola e media impresa italiana di elettronica, di telecomunicazioni, di impiantistica civile che sarebbero chiamate dai grandi gestori per ammodernare gli impianti della telefonia mobile.
Persino l’associazione dei piccoli provider, Assoprovider, è molto preoccupata per l’ipotesi di innalzamento dei limiti di legge per la radiofrequenza perché rischia di danneggiare i piccoli e medi operatori delle TLC, così come i territori nei quali queste aziende operano.
Questa è un appello del Prof. Giuliani rilasciato all’associazione Atto Primo che fa parte della Rete 6 V/m.