Nel 1979 Wertheimer e Luper hanno riportato per la prima volta un’eccessiva mortalità di bambini che abitavano in case situate vicino tralicci dell’alta tensione e presumibilmente esposti ad elevati campi elettromagnetici. Nel 1998 il National Institute of Environmental Health Sciences ha classificato i campi elettromagnetici a bassissime frequenze nel Gruppo 2B, cioè come “possibili cancerogeni negli umani”. Nel 2002 la stessa classificazione è stata proposta anche dall’International Agency for Research on Cancer.
Lo studio di G. Scassellati Sforzolini, M. Moretti, M. Villarini, C. Fatigoni e R. Pasquini dell’Università di Perugia, che è stato pubblicato nel 2004 (Am Ig, 2004, gen-apr; 16 (1-2): 321-40), ha analizzato il potenziale di genotossicità o di co-fattore genotossico dei campi magnetici di frequenze bassissime con un approccio in vitro.
I risultati dimostrano che tali campi (a 50Hz o 5mT) hanno capacità genotossiche (non tanto nel danno al DNA, ma per la frequenza, nelle cellule esposte, di più cellule micronucleate) e co-genotossiche. “La scoperta della possibile interferenza dell’azione genotossica di tali campi a frequenza bassissima con quella delle sostanze xenobiotiche ha implicazioni importanti” perché la popolazione umana è esposta ad entrambi questi fattori ambientali.
Un altro studio di C. Fatigoni, L. Dominici, M. Moretti, M. Villarini e S. Monarca hanno valutato la possibile genotossicità degli stessi campi usando il test tradescantia-micronucleus (Trad-MN), scoprendo che la potenza di un campo magnetico a 50 Hz ad 1mT è genotossico e che questo tipo di test può essere usato come biomonitor per i campi magnetici a bassissima frequenza (Environ Toxicol, 2005 dic; 20 (6): 585-91.