Il 21 ottobre 2019 il National Toxicology Program (NTP), ovvero il Progranna pubblico nazionale di studi tossicologici degli Stati Uniti, ha pubblicato i risultati degli studi sul danno al DNA nei ratti e nei topi esposti per anni alle radiazioni dei telefoni cellulari al di sotto degli standard di sicurezza.
I ricercatori, facendo delle misurazioni con il test comet assay, hanno osservato in diversi tessuti degli animali esposti alla radiazione da radiofrequenza del telefono cellulare un aumento significativo dei danni al DNA.
In particolare il danno al DNA è stato osservato nella corteccia frontale dei topi maschi, nei leucociti dei topi femmine e nell’ippocampo dei ratti maschi.
Effetti genotossici
I ricercatori precisano che si sa ancora poco del meccanismo d’azione con cui la radiofrequenza può indurre dei danni al DNA in assenza di un riscaldamento (effetto termico). Secondo il Gruppo di lavoro IARC sulla valutazione dei rischi cancerogeni per gli esseri umani del 2013, infatti, la radiazione emessa dai cellulari non avrebbe l’energia sufficiente a danneggiare direttamente le macro-molecole e solo la radiazione ionizzante o quella della luce ultravioletta hanno un’energia sufficiente a creare questo tipo di danno.
I risultati del National Toxicology Program, però, suggeriscono che l’esposizione a livelli non termici delle cellule o di interi organismi alla radiofrequenza dei telefoni cellulare può provocare degli effetti genotossici misurabili, anche se non ci sono effetti termici.
Gli autori ipotizzano che il danno possa essere causato dai radicali liberi e dell’interferenza del campo elettromagnetico con i naturali sistemi di riparazione del DNA.
Differenza tra radiazioni ionizzanti e non ionizzanti
Potrebbe, quindi, cadere la differenza che storicamente è stata fatta tra le radiazioni ionizzanti, che sono pericolosissime perché danneggiano immediatamente e in modo molto rapido il DNA, e le radiazioni non ionizzanti, ovvero quelle radiazioni elettromagnetiche che non producono una ionizzazione immediata.
Da queste ultime ricerche sembra che la radiofrequenza, pur non essendo una radiazione ionizzante, possa comunque danneggiare il DNA per esposizioni croniche a livelli non termici, inferiori cioè agli standard internazionali.