Laura Wright
16 agosto 2007
dal sito di Healthy Child Healthy World
http://healthychild.org
Le scoperte su come le sostanze chimiche e le tossine ambientali interagiscono con il nostro DNA e ci rendono suscettibili alle malattie potrebbero rivoluzionare il nostro concetto di malattia. Martha Herbert, neurologa pediatrica al Massachusetts General Hospital di Boston, studia le immagini del cervello dei bambini affetti da autismo. Un giorno di alcuni fa, quando stava visitando i suoi pazienti, ha visto una bimba di tre anni che aveva più dei soliti problemi cognitivi e comportamentali. Era intollerante al lattosio e i cibi contenenti glutine le mettevano lo stomaco sottosopra. I bambini artistici soffrono intensamente e non solo per le loro difficoltà a creare legami emozionali con i membri della loro famiglia, a fare amicizia o a tollerare la minima deviazione dalla loro routine quotidiana.
La dottoressa Herbert ha visto molti bambini piccoli che hanno dozzine o più di infezioni alle orecchie e molti altri con sindrome dell’intestino irritabile, con diarrea cronica e altri problemi gastrointestinali, tra cui allergie alimentari. Tali sintomi non rientrano nella spiegazione tradizionale di autismo come disturbo genetico originato nel cervello. Questo è quello che ha pensato la dottoressa il giorno in cui la bambina di tre anni è entrata nel suo studio. Aveva visto troppi bambini con disturbi sistemici di questo tipo.
Nel corso della visita la dottoressa Herbert ha saputo che il padre della bambina era un informatico – niente di meno che un esperto di informatica applicata alla biologia, cioè esperto nel trattare dati biologici e trarre gli schemi di interesse. Condivide con il padre la convinzione che la ricerca sull’autismo fosse troppo concentrata sull’esame dei geni responsabili dello sviluppo cerebrale e funzionale per esclusione di altri fattori – ovvero la suscettibilità del bambino agli insulti ambientali come l’esposizione a sostanze chimiche e tossiche.
Ispirata dalla conversazione, la dottoressa Herbert ha lasciato il suo ambulatorio quel giorno con un piano: lei e il padre della bambina, John Russo, capo delle scienze informatiche del Wentworth Institute of Technology, avrebbero creato un gruppo di genetisti e bioinformatici per revisionare la letteratura sui geni che potrebbero essere coinvolti nell’autismo senza essere necessariamente correlati allo sviluppo del sistema nervoso.
Il gruppo ha revisionato il database dei geni già noti per rispondere a sostanze chimiche nell’ambiente, selezionando quelli che si trovano nelle sequenze di DNA con sospetti legami all’autismo. Hanno così scoperto più di un centinaio di coincidenze, dando forza alla convinzione che tali sostanze chimiche interagiscono con geni specifici che rendono certi bambini suscettibili all’autismo.
Sebbene alcune patologie siano ereditate attraverso una singola mutazione genetica – per esempio la fibrosi cistica e l’anemia – il classico modello “un gene, una patologia”.
Nel 2001 la dottoressa Jennifer Sass, neurotossicologa e scienziata Senior al National Resources Defense Council (NDRC), che era ricercatrice post – dottorale all’Università del Maryland, ha progettato un esperimento per scoprire come il mercurio interferisce sia con il sistema nervoso che con quello immunitario. Ha osservato una insolita attività del gene dell’interleuchina 6 che è responsabile sia della risposta alle infezioni che allo sviluppo dei neuroni.
La dottoressa Ellen Silbergeld, professoressa di medicina ambientale all’Università John Hopkins che aveva collaborato con la Sass allo studio, suggerisce così che ci possa essere un ruolo del mercurio in questa patologia a che bisognerebbe studiare gli effetti di altri composti chimici.
Andrebbero protette particolarmente le donne in gravidanza, ma andrebbero individuati anche quegli adulti che sono geneticamente più suscettibili agli effetti del mercurio così da escludere il pesce dall’alimentazione.